Avete sentito le ultime notizie sui sapiens? (Intervisto Roberto Brazzale)
- Dr Domenicantonio Galatà

- 1 giorno fa
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Aggiornamento: 1 ora fa
Le riflessioni che seguono nascono dal dialogo con Roberto Brazzale del 7.11.25 a Roma ad excellence food innovation e da una parte dell'intervista che pubblichiamo integralmente a fine lettura.
Travolti dalla logica della comunicazione immediata, forse a causa della velocissima rivoluzione tecnologica - oggi dell’intelligenza artificiale - abbiamo perso di vista l’aspetto più profondo dell’essere umano: essere umani.
Eppure la scienza resta l’unico linguaggio possibile per ricomporre la verità, a patto di restituirle un’anima…umana, umanistica.
Ma dietro l’immagine patinata resta inevasa la domanda: a cosa serve davvero la scienza se non a migliorare la vita degli uomini?
Abbiamo moltiplicato i dati, i format, i contenuti, gli scaffali, le referenze, i followers,
ma abbiamo ridotto lo spazio e il tempo per la riflessione, per l’ascolto, per il silenzio che genera pensiero, per l’uomo — che in fondo resta il vero fine di ogni sapere, di ogni impresa, di ogni gesto.
Ricucire ciò che abbiamo diviso.
Sempre più forte la necessità di un umanesimo scientifico: una cultura che rifiuti la verticalità e torni a unire il sapere al sentire.
Non possiamo educare alla salute, alla sostenibilità o alla qualità se non rimettiamo in dialogo la ricerca con la vita quotidiana, l’etica con la produzione, la scienza con l’impresa.
La scienza non serve idolatrarla, né temerla.
Serve viverla come uno strumento umano di libertà, di verità e di responsabilità. Solo così può tornare ad essere credibile e utile.
La cucina come metafora
In cucina, come in pasticceria, questo equilibrio tra scienza e umanesimo si manifesta con una chiarezza disarmante.
Un'emulsione, la lievitazione o la cottura è un atto scientifico, ma anche profondamente umano: richiede tempo, sensibilità, intuito, memoria.
È il contrario della fretta digitale, della tracciato piatto di un eco-cardiogramma all’algoritmo.
È la scienza torna gesto, artigiana.
CONSIGLI PER IL FUTURO
Il post-società della disinformazione, dal futuro, ci consiglia di tornare a un linguaggio che non divide ma unisce. Esiste il bianco, il nero… e il grigio. E in quella zona intermedia, fatta di incertezze e possibilità, abita l’uomo, con la sua scienza imperfetta ma autentica.
Una scienza che sappia parlare come un uomo, un’industria che produca con coscienza, un retail che racconti il valore vero dei prodotti e delle persone che li rendono possibili.
Il futuro non sarà dei tecnici né dei filosofi, ma di chi saprà tenere insieme la tradizione e la meraviglia. Di chi, nel laboratorio come in fabbrica, nel punto vendita come in cucina, continuerà a credere che la conoscenza non serve a dominare la realtà, ma a prendersene cura.
INTERVISTO Roberto Brazzale: “La scienza non è un fine, ma un mezzo”
Domenicantonio Galatà:
In un’intervista, Roberto, citi tuo padre Tino e il suo amore per la scienza. A me questa cosa ha colpito molto, come forma di verità e libertà dalle convenzioni. Oggi che viviamo in un’epoca — lo avevi accennato tu — di disinformazione e di diffidenza, pensi che tornare a questo approccio umanistico alla scienza, quindi ai suoi valori, alle sue responsabilità, al contesto culturale e sociale, possa restituirle credibilità in un tempo in cui la disinformazione, soprattutto digitale, gliel’ha un po’ tolta?
Roberto Brazzale:
Beh, è un tema ovviamente molto importante questo, però io, in quell’occasione ricordavo una cosa: mio padre era laureato in chimica industriale, per capire era il corso di laurea più impegnativo all’epoca, negli anni ’50, perché studiavano la progettazione degli impianti industriali, le raffinerie, i grandi impianti. Io ricordo che aveva un grande manuale, si faceva tutto in casa: il dopobarba, il detersivo… Erano gli anni della grande fiducia nel progresso, nella scienza, nella chimica. Mio padre dipingeva; ha scritto cose bellissime, perché quella generazione non distingueva tra cultura scientifica e cultura umanistica, perché la scienza era uno strumento dell’uomo.
Questa unicità dell’esperienza e questa non settorializzazione credo che siano la condizione di cui oggi abbiamo bisogno per tornare a vivere bene. Fare della scienza un fine e non un mezzo è un errore grossolano.
E pensare di avere in azienda dei ragazzi che sanno tutto di acidi e reazioni chimiche ma non hanno mai letto la Divina Commedia o contemplato la bellezza di un’opera d’arte è assurdo. Noi siamo uomini perché viviamo un’esperienza totale — a differenza dell’intelligenza artificiale.
Quella dimensione, nelle generazioni di allora, era chiara e coltivata.
Oggi, invece, abbiamo perso un po’ la bussola pensando che l’iperspecializzazione, cioè sapere tutto di nulla, sia un obiettivo.
E invece no. Chi guarda ai propri genitori, o ai propri nonni, può ancora ritrovare in loro quella saggezza integrale che oggi ci manca.
Forse oggi serve proprio questo: un nuovo umanesimo della scienza, capace di critica al pensiero dominante.
Siamo subalterni, sì, ma non residuali.
Perché è nelle voci laterali, nei gesti silenziosi e nelle cucine vere che la conoscenza torna ad essere umana. Su questo tema ci lasceremo ispirare nella prossima intervista da un altro uomo, ma non posso anticipare nulla.








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